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capitolo quinto 99


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Mi maraviglio ben del cavalliero
che usar volesse tanta pazienzia;
perch’esser al villan crudo e severo
altro non è se non bontá e clemenzia:
anzi dirò ch’un fusto grosso intiero
è quello che gli spira gran prudenzia;
dalli pur bastonate sode e strette,
ché non si ha di guarirlo altre ricette.
57
Passava Giove per un gran villaggio
con Panno, con Priapo ed Imeneo;
trovan ch’un asinelio in sul rivaggio
molte pallotte del suo sterco feo.
Disse Priapo: — Questo è gran dannaggio:
En, Domine, fac homines ex eo.
Surge, villane, — disse Giove allora;
e ’l villan di que’ stronzi saltò fora,
58
ed in quel punto istesso, quanti pani
fu di letame o d’asin o di bove,
insurrexerunt totidem villani
per tutto ’l mondo a far de le sue prove,
cioè pronte in rubar aver le mani,
e maladire il ciel quando non piove,
esser fallaci, traditor, maligni,
di foco e forca per soi merti digni.
59
— Aspettami, ti prego, caro amico,
— dicea Milon — e non aver spavento! —
ma quel poltrone, d’ogni ben nemico,
vedendo ch’egli ’l tien nel vestimento,
— Lasciami — disse allor, — lascia, ti dico:
non so chi sei: tu n’hai spogliato cento,
io ti comprendo ben che ladro sei:
rubasti l’arma, il brando, ancor colei.