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104 orlandino


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— Qual legge è questa? — dissegli Milone
narraci, ti pregamo, padre caro.
— Voglio — risponde — che niun ladrone
abbia d’esser appeso alcun riparo,
se piglia quel d’altrui contra ragione,
eccettuando sol ciò c’ha l’avaro;
anzi vorrei che ’l pover s’appiccasse
se, potendo, l’avaro non rubasse.
77
Tu vederesti l’integri Catoni
più grati al mondo e dal predon sicuri;
tu vederesti l’improbi Neroni
a povertade men crudeli e duri;
tu vederesti li empi Licaoni,
pigliata la lor parte, non più furi;
la parte sua, che sta ne l’altrui copia,
ché ’l tuo superfluo causa la mia inopia.
78
Che maladetta sia l’ingorda rabbia
di questa lupa, e chi adorar la vole!
Ché se quante son miche in questa sabbia
e quanti cascan atomi dal sole,
tanti dinari avvien che ’l miser abbia,
apre, per anche averne, mille gole,
né pur si sazia la sua mente avara;
onde, qual sia un piacer, mai non impara.
79
Tal biasmo non v’adduco senza causa;
ché ho fatto d’un avaro mille prove.
E se ’l mio dir non vi facesse nausa,
direi di lui la miser vita, e dove. —
Rispose allor Milone: — Io faccio pausa;
eccoti da mangiare; ché ’l mi move
l’aspetto tuo talmente, ch’io starei
digiuno, per udirti, giorni sei. —