Vai al contenuto

Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/124

Da Wikisource.
118 orlandino


44
Flagellasi patendo le ferute
che mie parole di lascivia pregne
gli danno, le qual sono tanto acute
al cor, ch’al fin convien ch’egli s’ingegne
con vari modi e lusinghette astute
ch’io di tacer la fede mia gl’impegne,
e qui trovo ben spesso un confessore
esser piú ruffiano che dottore.
45
Però, Signor, che sai gli cuori umani
e vedi la tua chiesa in man de’ frati,
a te col cor contrito alzo le mani,
sperando esser giá spenti e’ miei peccati:
e se, Dio mio, da questi flutti insani
me scampi, che mi veggio intorno irati,
ti faccio voto non prestar mai fede
a chi indulgenze per dinar concede! —
46
Cotal preghiere carche d’eresia
Berta facea, mercé ch’era tedesca,
perché in quel tempo la teologia
era fatta romana e fiandresca;
ma dubito ch’al fin ne la Turchia
si trovará, vivendo a la moresca;
perché di Cristo l’inconsutil vesta
squarciata è sí, che piú non ve ne resta.
47
Non volse Dio però guardar a quella
perfidia d’una donna d’Alemagna;
ma fece che con lei la navicella
pervenne ove le ripe l’onda bagna.
Qui stanca e smorta uscisce la dongella
e tanto va per monte e per campagna,
di Lombardia passando in la Toscana,
che for di Sutri giunse ad una tana.