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8 orlandino


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O tempi grassi, o giorni fortunati,
quando e’ poeti si trovorno buoni
mercé Gian Bocca d’or de’ Mecenati,
che ingrassar fenno giá molti Maroni!
Or non cosí piú, no; ch’oggi piú grati
son gli ubbriachi, sguattari e buffoni,
de quelli che immortal puon fare altrui;
perché «est» apprezzan piú d’«eram» e «fui».
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Ma tu, lettor, chi sei? fermati al varco,
anti che ’l mio battei entrar comince:
tratti in disparte, se d’ invidia carco
guardi cagnesco ed hai vista di lince;
tal mercanzia, t’avviso, non imbarco,
perché talor la collera mi vince
e la senapa montami sí al naso
ch’io non sto a dir: — Va’ dietro, Satanaso; —
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anzi col pugno ti rispondo a l’occhio,
di ciò che parli in questa e quella orecchia.
Poltron che sei, non vedi ch’al ginocchio
rotta ho la calza e la gonnella vecchia?
Non odi tu mia voce d’un ranocchio
quando montar la rana si apparecchia?
Però, s’io canto male, sia scusato,
ché ’l lupo si pentí cantar famato.
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Ma ’l spirito gentile, qual si sia,
che mosse amore dirmi l’error mio,
ringrazio molto; ch’altra cortesia
non trovo a questa egual, in fé di Dio.
Pur saper déi ch’io son di Lombardia
e che ’n mangiar le rape ho del restio;
non però, se non nacqui tòsco, i’ piango;
ché ancora il ciato gode nel suo fango.