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140 orlandino


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Or su non piú; ché d’ignoranzia un vaso
farmi bandir dal ciel par si prometta;
e, perché di cervello non men raso
lo veggio che di testa, in mia vendetta
voglio tacer, che non mi dia del naso
lá dove spesso mi forbisce e netta,
liber novarum legum quem de foeno
quidam composuerunt, ventre pleno.
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Lasciamlo dunque star in sua malora,
che non urtasse al scoglio d’una gobba,
gobba che, al vaso eguale di Pandora,
contien di morbi un’infinita robba.
Meglio sará che l’unica signora
mia Caritunga, zoppa, sguerza e gobba,
si alzi la gonna e mostri a lui l’eclipsi,
scrivendo per le vie: quod scripsi, scripsi.
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Scripsi scribenda, e scriver anco voglio
fin che Grifalco non verrammi stanco;
ruppi mio legno in fortunato scoglio,
che piú di solcar onde omai son franco;
e se l’inchiostro, la lucerna, il foglio
e l’Orsattino mio non fiami manco,
anzi se morte non mi chiude il passo,
spero di lui dirá Cirra e Parnasso!