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capitolo ottavo 143


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Non cosí tosto qualche bon boccone
in piazza comparea di pesce o carne,
che ’l padre santo, in guisa di falcone
lo qual giú a piombo vien viste le starne,
davagli d’ongie tal, che le persone
di Sutri non potean oncia mangiarne,
mercé che ’l Griffo tutti li rapia
sí ratto come il ciel rapitte Elia.
9
Cingevasi di sotto al scapularo
(né senza questo può salvarsi un frate)
una gaioffa e di braghesse un paro,
che sempre fûrno il suo fidel Acate.
Né mai gli calse d’altro secretaro
in cui le cose sue fusser corcate,
non dico breviari, non messali,
nec librum de peccato originali;
10
ma sempre o qualche lonza o scannatura
o lombo o testa o petto di vitello;
poi d’altre mille cose di mistura
in quel suo gran tascone fea rastello:
uova, butirro, lardo, e di verdura
lattuche, biete, caole, petrosello;
e cosí carco di tal libraria,
dicea non esser altra teologia.
11
Era bon mastro in arte coquinaria,
avendo in questo un’ampia biblioteca,
di varie lingue multa commentaria:
non l’arabesca, ebraica, non la greca,
non la toscana, dico, temeraria
(ché a grande sua superbia oggi s’arreca
equarsi a la romana, e tanto sale
che assai Francesco piú che Tullio vale);