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290 caos del triperuno


I o son (perché ti miro star sospeso)
V ana beltá, ch’orno di gigli e rose [«Fallax gratia et vana est pulchritudo». Prop.]
S ol de le donne i volti, ma ritrose
T utte le faccio e di cuore scorteso
I n lor amanti, cui di giorno in giorno
N udrendo van di speme, e mai non giunge
A lor il patto, ma si fa piú lunge.

I n questo l’alto padre piú adirato
V er’ me ch’abbello i visi e i cuor inaspro
S culpendo lor di porfido e diaspro,
T olse ’l bel spirto e l’ebbe incatenato
I n quelle belle membra ove soggiorno.
N on fa soperbia mai, non schivo sdegno,
A nzi è d’alte virtudi un vaso pregno.

I l nome suo dal ciel in terra stette.
V olendolo saper, fa’ che misure,
S cendendo d’alto, le maggior figure:
T re volte e quattro il trovarai di sette
I n sette versi. — Allor indi mi torno,
N é possio piú di lei dolermi fina
A tanto che sei nosco, alma divina!