Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/349

Da Wikisource.

selva terza 343


Pur come avvenne a Piero, in sua presenzia
la vista persi, il senno e le ginocchia.
Chi sopra uman valor si fa violenzia
portar tal peso, vinto s’inginocchia.
Veggendomi egli a terra, di clemenzia
pingesi ’l volto e con pianto m’adocchia:
poi, sollevando i lumi al ciel, tal voce
muosse, ch’anco m’abbruggia e mai non cuoce.

FIGLIO AL PADRE


O tu, che ’ntendi te, te, qual son io, [Deus Pater se ipsum intelligit et amat; quae intelligentia Filius est, amor vero Spiritus Sanctus.]
quant’alto sei, quant’eccellente e saggio,
lo qual in nulla cosa mai non manchi,
sublime sí, che sotto e sopra quello
che sei pensar non puossi, e quest’è ’l mio
non mai dal lume tuo smembrato raggio,
io non di te né tu di me ti stanchi
mirar quanto ti sia e mi sii bello;
né quel spirito snello
e fuogo che fra noi sempre s’avvampa
ed or in dolce lampa
or in colomba formasi, minore
di noi giammai procede né maggiore.
Padre, Figliol e l’almo Spirto un Dio
eterno siamo, fuor d’ogni vantaggio.
Tre siam un, ed un tre, securi e franchi
che l’un vegna de l’altro mai rubello;
non cape in noi speranza né desio,
non spazio tra ’l comun voler né oltraggio.
Io del tuo lume e tu del mio t’imbianchi;
né dal nodo che tien l’alto suggello
unqua, Padre, mi svello.
Però d’ogni bontá nostra è la stampa,
che l’amorosa vampa