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356 caos del triperuno


Egli, sé alzando, tal mi apparse, ch’io
lasciai pur anco ’l fren in abbandono,
drieto a l’error del credulo desio,
che ’n tal sentier non sferzo mai né sprono. [«Facilis descensus Averni». Virg.]
Ma strana voce, onde quell’occhio uscio,
mentre ch’assorto in lui sto fiso e prono,
scridommi come Paolo ai listri fece,
che di Mercurio l’adorâr in vece.

SOLE


Alma felice, c’hai sola quel vanto [«Anima facta est similis Deo, quia immortalem et indissolubilem fecit eam Deus. Imago erga ad formam pertinet, similitudo ad naturam». Aug.]
aver di l’alta mente simiglianza,
onde guardar mi puoi frontoso, altero,
qual or ti fai, ché ’n me, codarda tanto,
piú estimi questo raggio che l’orranza
del dato a te sovra ogni stella impero?
Non Dio, ma un messaggero
di lui ti vegno da quell’una luce,
ove ben sette volte intorno avrai
di me piú bianchi rai;
da Quel senza cui nulla fiamma luce,
ma come in vetro egli per noi traluce.
Or dunque piú alto e non sí basso adora,
ché l’ esser mio fu solo in tuo servigio.
Mira come ascendendo passo passo,
senza mai far in lunga via dimora,
di miei cavalli tempro sí ’l vestigio,
che l’ampia rota, ove tornando passo,
non unqua vario e lasso,
finir a la prescritta meta deggio.
Vedi come l’estreme parti abbraccio,
e quanto puosso faccio
sol per accomodarti l’uman seggio,
ove di quanto sai voler provveggio.