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372 caos del triperuno


Ed anco se la notte per la loro
molta ingordigia d’acquistar le assale,
raccolte insieme quasi in concistoro
le gambe al ciel e ’n terra posan l’ale;
ché de le stelle il rugiadoso coro
le avvinge sí che poco il volo vale,
se non s’industran starsene sopine
tutta la notte ad aspettar il fine.

Taccio le ultrici guerre, ch’a le volte
tra l’un vicino rege e l’altro fansi.
Tu vedi tante squadre intorno accolte, [«Iamque faces et saxa volant, furor arma ministrat. | Tum pietate gravem ac meritis si forte virum quem | Conspexere silent arrectisque auribus adstant». Virg.]
che poscia a tôr la vita irate vansi,
e se ritornan parte in fuga vòlte,
ritrandosi lor duci fiacchi ed ansi,
parte seguendo vittoriosa gode,
né altro che plausi e voci liete s’ode.

Indi iattura tal (se non dissolve
l’agricola prudente lor litigi
co’ l’importuno fumo e secco polve)
vi nasce, che la morte ai campi stigi
la parte vinta e la vittrice involve.
O grandi spesso al stato uman prodigi!
ché de lor code mandon l’alte spine,
cui per grand’ira seguon l’intestine!

La vile mandra de’ pannosi fuchi
trovan sovente starsen al presepe,
ove cosa non è che non manuchi;
ma poi nel faticarse, pegra, tepe.
Tu vedi lor scacciati esser da’ buchi,
e morti far in cerco folta sepe;
e il simil fan de l’apa tarda e pigra,
che uccisa vien s’occulta non sen migra.