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capitolo secondo 33


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volge la briglia per girar l’armento,
ma tanto fa se quello fusse un muro.
Morando tien tirato, e tal tormento
sente il mulaccio, che, per star sicuro
di non perder la coda, e pioggia e vento
spruzzò dal buco, e d’un impiastro puro
unse talmente il volto a chi ’l tenea
ch’egli non uomo, anzi merda parea.
33
Lascia la coda il buon Morando presto
Heu, quia incolatus sum — gridando forte.
Amon ch’era de li altri ’l piú rubesto,
su l’altra vacca giunge quivi a sorte;
a Bovo tolto avea la scopa e ’l cesto,
e quasi al suo stallon diede la morte;
ma non vede Rainer, che per la coda
tien anco la sua vacca e via la snoda.
34
Spiccolla via di netto in un sol crollo
con la facilitá ch’ad un pollastro
smembrar vidi talor dal busto il collo;
onde ’l tapin senza garbin e mastro
andò pur giú da banda, e riversollo
con seco il suo destrier come un pilastro:
né anco Rainer per quel tirar con forza
puote star saldo, ma giú cadde ad orza.
35
La coda c’have in man saltella e guizza,
come sòl far una luserta monca.
Eccoti Bovo al lungo de la lizza
corre, c’ha tolto a Salomon la conca;
quello il persegue e finge averne stizza,
e tanto or slunga il passo or la via tronca,
ch’al fin lo giunse dove Ivon gran briga
prende sul carro col suo istesso auriga.

T. Folengo, Opere italiane. 3