Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/54

Da Wikisource.
48 orlandino


20
Lettor, sta’ queto e tien piú corto il naso,
lode di Dante non biasman Francesco:
credil a me, se Scoto e san Tomaso
ebber l’onor dinnanzi, ora un tedesco,
o sia di Franza, Erasmo, aperse il vaso,
lo qual de’ frati il stile barbaresco
avea rinchiuso sí che nullo odore
piú si sentia d’alcun primo dottore.
21
Molta scienza i’ trovo d’ogni sorte,
ma pochi bon scrittori e men giudicio;
però col tempo s’aprino le porte
di saper sceglier la virtú dal vicio;
o sante, o benedette, o degne scorte
a conoscer di Cristo il beneficio!
Ma perché forse i’ passo gli confini,
ora torniamo ai quattro paladini.
22
Ma che faranno, che non hanno spate
e sol un breve tronco in man gli resta?
Ecco ’l piacer de gli urti e bastonate,
che dánnosi co’ fusti su la testa;
rideno, ciò vedendo, le brigate,
riden e quelli che si dan la pesta;
frattanto ancora di piú apprezziati
baron insieme sonosi taccati.
23
Vinti franzesi e tanti altri spagnoli
si vanno incontro con lor aste al segno;
diece toscani e cinque romagnuoli
sfideno insieme quindeci del Regno:
tutti ad un tempo questi armati stoli
pongon i colpi dov’è lor disegno:
grand’è ’l polvino, il sòno, il grido, il strepito
del pazzo volgo e de le trombe il crepito.