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lettera xxxvi 127

          Spuntò il mattino; e su l’usato balzo,
          e del lago alle sponde, e appiè del gelso
          piú non apparve: altro mattin succede;
          e il colle invano, e invan l’aspetta il bosco:
          al terzo di portar lento si vide
          con tetra pompa per le strade al tempio.
               A fama ignoto ed a fortuna, eterno
          sonno sotterra il giovinetto dorme.

LETTERA XXXVI

11 maggio.

Conviene dire che la natura abbia pur d’uopo di questo globo e della specie di viventi litigiosi che lo stanno abitando. E, per provvedere alla conservazione di tutti, anziché legarci in reciproca fratellanza, ha costituito ciascun uomo così amico di se medesimo, che volentieri aspirerebbe all’esterminio dell’universo per vivere piú sicuro della propria esistenza e rimanersi despota solitario di tutto il creato. Niuna generazione ha mai veduto, per tutto il suo corso, la dolce pace: la guerra fu sempre l’arbitra de’ diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli. Così l’uomo, or aperto, or secreto, e sempre implacabile nemico della umanitá, conservandosi con ogni mezzo, cospira all’intento della natura, che ha d’uopo della esistenza di tutti; e l’uman genere, quantunque divori perpetuamente se stesso, vive e si propaga. Odi.

Di buon mattino ho accompagnato Teresa e sua figlia da una lor conoscente, venuta a villeggiare. Credeva di stare a pranzo in lor compagnia, ma per mia disgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso al chirurgo di desinare in sua casa; e, se Teresa non me ne facea sovvenire, io, a dirti la veritá, me n’era dimenticato. Mi vi sono dunque avviato un’oretta innanzi il mezzogiorno; ma, affannato dal caldo, mi sono alla metá della strada coricato sotto un ulivo (al vento fuor di stagione di ieri oggi è succeduta un’arsura noiosissima), e me ne stava li al fresco spensieratamente, come se avessi giá desinato.