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lorenzo f. ad angelo 147


che idolatro... Tu la consola e le rasciuga le lagrime... Che altro posso dirti? Le consegnerai inoltre la qui acclusa lettera. Perdona, o diletto Angelo, ad un moto di tenerezza e d’amore, che mi strappa, mio malgrado, una lagrima. Sono io debole forse?... Ov’è l’uomo tanto stoico ed insensibile, che freddo si stia qual rupe al raggio ineffabile della bellezza e della virtú? Infelice! No: egli non ha cuore!

Addio... forse per l’ultima volta. Sento che le forze mi abbandonano, e appena stringo a grave stento la penna. La pesante catena, che m’aggrava il destro braccio, illanguidisce la mano, la ritira verso il terreno, ed il suo ferale suono mi riempie di tristezza. O morte! io t’invoco, e tu pietosa non odi?

O Angelo..., o dolce amico..., addio!


L’incognito poscia mi narrò minutamente alcune cose circa lo stato di Lorenzo. — Se lo vedeste! o signore. In mezzo a tanta disgrazia fa invidia ai piú felici: si contenta di cosí poco! Suol dir sovente che «Dio non abbisogna di nulla, e l’uomo saggio di poche cose». Questo virtuoso prigioniero comincia ad essere amabile perfino a’suoi nemici. Tanto può la forza della virtú! —

Io mi sentiva commosso. Ogni parola dello straniero era una ferita al mio cuore, e mi mancava perfino la forza del respiro e delle lagrime. E, quando poi giunse a narrarmi la sua partenza sopra di una nave, quando... — Italia — io dissi, — Italia ingrata! cosí lo perdi? Oh, felice quella terra (e sia pur barbara!...) che nel suo seno accoglierá Lorenzo e coprirá di alcune zolle le sue misere ossa!

Qui forse, o lettore, amerai di sapere ove e per qual destino fosse tratto Lorenzo a cosí duro servaggio. Ma tu perdona al mio silenzio: il mistero deve ascondere di un denso velo la sorgente fatale, le circostanze atroci e i luoghi stessi delle sue sventure!

Non tardai d’avviarmi ben tosto alla casa di Marianna. Gli onesti amori della vezzosa fanciulla sono assai noti: adorava ella teneramente Lorenzo, e Lorenzo non viveva che per lei. Entro nella sua camera. Giaceva scapigliata e discinta sopra un soffá; neglettamente le pendeva un bianco braccio sopra il rosato gonnellino, ed, appoggiando il mesto volto ad una mano, teneva immobile lo sguardo su la terra. Il rumorio de’ miei passi la riscosse.