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6 iv - seconda redazione delle


Firenze, 7 settembre.

Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla mia stanza i miei colli. In un bel mattino di settembre saluta in mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordano tutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempo ho riposato dopo le ansietá della vita. Se passeggiando nelle notti serene i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia, io ti prego di salire sul monte de’ pini, che serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appiè del pendio, passata la macchia de’ tigli, che fanno l’aere sempre fresco e odorato, lá dove que’ rigagnoli adunano un pelaghetto, troverai il salice solitario, sotto i cui rami piangenti io stava piú ore prostrato, parlando con le mie speranze. Giunto presso alla cima, tu pure udrai forse un cuculo, il quale parea che ogni sera mi chiamasse col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompea quando accorgevasi del mio borbottare o del calpestio de’ miei piedi. Il pino, dove allora stava nascosto, fa ombra ai rottami di una cappelletta, ove anticamente si ardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracellò; e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell’oscuritá pietre sepolcrali, e piú volte io mi pensava di erigere in quel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Ed ora? Chi sa ov’io lascerò le mie ossa! Consola tutti i contadini che ti chiederanno di me. Giá tempo mi si affollavano intorno, ed io gli chiamava miei amici, e mi chiamavano il loro benefattore. Io era il medico piú accetto a’ loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente le querele di que’ meschini lavoratori, e componeva i loro dissidi; io filosofava con que’ rozzi vecchi cadenti, ingegnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori della religione, e dipingendo i premi che il cielo riserba all’uomo stanco della povertá e del sudore. Ma ora saranno dolenti perché io in questi ultimi mesi passava muto e fantastico senza talvolta rispondere a’ loro saluti, e, scorgendoli da lontano mentre cantando tornavano da’ lavori o riconduceano gli armenti, io gli scansava, imboscandomi dove la selva è piú negra. E mi