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ultime lettere di iacopo ortis 9


tu deh! vivi, per quanto puoi, felice, per quanto puoi ancora.

Il destino risparmi per te, mia dolce e sventurata amica, tutte le lagrime ch’io verso. Purtroppo tu ora partecipi del doloroso mio stato. Io ti ho fatta infelice e ho ricompensato tuo padre delle amorose sue cure, della sua fiducia, de’ suoi consigli, delle sue carezze? E tu in che precipizio non ti trovavi per me?

Ma io sono pronto a qualunque sacrificio: la mia vita, il mio amore... io ti consacro tutto, tutto. Non posso incolpare che il nostro destino, ma esserti stato causa d’affanni è il piú grande delitto che io potessi commettere.

Oimè! con chi parlo?

Se questa lettera ti trova ancora a’ miei colli, o Lorenzo, non la mostrare a Teresa. Non le parlare di me: se te ne chiede, dille ch’io vivo, ch’io vivo ancora, non le parlare insomma di me. Ma io te lo confesso: mi compiaccio delle mie infermitá; io stesso palpo le mie ferite dove sono piú mortali, e cerco d’inasprirle, e le contemplo insanguinate, e mi pare i miei martiri rechino qualche espiazione alle mie colpe e un breve refrigerio ai mali di quella sventurata. Addio, mio solo amico, addio.

Firenze, 25 settembre.

In queste terre beate si ridestarono dalla barbarie le sacre muse e le lettere. Dovunque io mi volga, trovo le case ove nacquero e le pie zolle dove riposano que’ primi grandi toscani: ad ogni passo pavento di calpestare le loro reliquie. La Toscana è un giardino; il popolo naturalmente gentile; il cielo sereno; e l’aria piena di vita e di salute. Ma l’amico tuo non trova requie: spero sempre... domani, nel paese vicino...; e il domani giunge ed eccomi di cittá in cittá, mi sento sempre piú infermo e mi pesa ognor piú questo stato di esilio e di solitudine. Neppure mi è conceduto di proseguire il mio viaggio: avea decretato di andare a Roma a prostrarmi sugli avanzi della nostra grandezza. Mi negano il passaporto: quello giá mandatomi da mia madre è per Milano; e qui, come s’io fossi