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Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/168

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di passioni piú forti. Tutto il modo di sentire, di ragionare e di agire pare che sia diretto nell’Ortis da un’opinione, che, vera o assurda, è pur sempre rischiosa ad insinuare ne’ giovani; ed è: «che l’uomo non agisca per volontá illuminata da un principio di veritá e di giustizia; bensí per facoltá prepotenti conferitegli dalla natura, secondo che sono provocate o al bene o al male dai casi della fortuna». I sentimenti delicati d’amore e il velo diffuso sovra i desidèri dell’uomo e le angosce, che, senza evento felice, affliggono l’Ortis e la fanciulla, salvano questo romanzo dalla censura meritata quasi da tutti e anche dalla Clarissa; da che Lovelace attizzerá sempre la brutalitá di molti suoi pari, e un solo de’ suoi artifici può aguzzare l’astuzia di tanti altri, che, quantunque con minore ingegno, professano piú vili scostumatezze. Tuttavia anche contro questo merito dell’Ortis si potrebbe allegare ciò che egli scrisse: «Io voleva in quella sfortunata creatura1 mostrare a Teresa uno specchio della fatale infelicitá dell’amore. Ma credi tu che le sentenze, e i consigli, e gli esempi de’ danni altrui giovino ad altro, fuorché a irritare le nostre passioni?... Però non mi pare di lasciar leggere questi tre o quattro fogli a Teresa: le farei piú male che bene». E però i padri e le madri sviano da questo libro le loro figliuole; ma anche l’irritazione della curiositá lo fa leggere di soppiatto, e accresce il pericolo. Il coraggio con che l’autore affronta gl’invasori d’Italia, e tutte le sètte che la sbranano, e tutti i ceti che la corrompono, quantunque sia in se stesso magnanimo, è nondimeno, quanto agli effetti che può produrre, imprudente: da che l’ardire potrebbe in alcuni giovani trasmutarsi forse in audacia e indurli a imitazioni funeste. Parimenti l’amore di patria, che quel libro spira e si diffonde in tutti gli animi che si compiacciono di sí nobile sentimento, può irritare «vanamente delle passioni disperate»2 e i desidèri d’indipendenza in una nazione, in cui la provvidenza ha da alcuni secoli in

  1. Lauretta [vedi a p. 297 del vol. i, e cfr. la var. a p. 72 di questo i vol.].
  2. [Vedi p. 285 del vol. i:] «Farei cosa superflua e crudele, ridestando in voi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me». [E a p. 88-9 di questo i vol., che è var. di p. 19:] «Abbiate compassione a’ vostri concittadini, e non istigate vanamente le loro passioni politiche»; e nondimeno ei le istiga in quelle medesime Lettere, e grida: «Perseguitate con la veritá i vostri persecutori... Mi sento rinsanguinare nell’anima questo furore di patria». Cosí i suoi consigli non servono fuorché a dare un altro esempio che la prudenza è vinta di necessitá dalla passione.