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i - frammenti di un romanzo autobiografico 189


La venerabile povertá. ... I tuoi conoscenti t’incontreranno, e torceranno gli occhi per non riconoscerti.


O dolci sponde, o sacre case, o feconde campagne d’Italia echeggianti dei nostri gemiti e rosse del nostro sangue!


Guai, se tu t’abbandoni alle prime occhiate d’un amante! lo perderai per sempre.

Di coloro che spandono i loro tesori per disgustarsi di quanto v’ha di piú bello nella natura.

Quelle piccole cose che son di tanto valore, la virtú e l’amore, son parole morte; ma le loro immagini piacciono.


Ogni uomo pare che sia fatto per vivere nella sua patria, ed io... per abbandonarla.

La nostr’anirna riceve dalla divinitá, dalla quale è emanata, una debole conoscenza dell’avvenire.


Ma io sono diffidente.... lo giuro per le mie tante e sì crudeli sventure.... ch’io in questo non ho altra colpa se non d’essere stato troppo ingenuo, e d’aver dato occasione agli uomini di darmi delle lezioni, sacrificandomi alla umana malignitá e alla sociale furberia.


Il male partecipa della natura dell’infinito, e il bene del finito.


Io mi credo piú savio di tutti, poiché rispetto i misteri della natura.


L’abbondanza di idee non è che penuria.


Scienza, elezione e perseveranza, ecco la virtú e il delitto.

Prudenza, ecco tutto.


I filosofi hanno voluto gli uomini numi.