Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/30

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24 iv - seconda redazione delle


era contraffatto dalle rughe del dolore. Fratello! Io era impellicciato e al fuoco; stava gittato oziosamente nella seggiola vicina il mio larghissimo tabarro; l’oste andava su e giú allestendomi il desinare... e quell’infelice! era appena in farsetto di tela, ed io intirizziva solo a guardarlo. Forse la mia mesta accoglienza e il meschino suo stato l’hanno disanimato da prima: ma poi da poche mie parole s’accorse che il tuo Iacopo non è nato per disanimare gl’infelici; e s’assise con me a riscaldarsi, narrandomi quest’ultimo lagrimevole anno della sua vita. Mi disse: — Io conobbi famigliarmente uno scolare che era dí e notte a Padova con voi — e ti nominò. — Quanto tempo è oramai ch’io non ne odo novella! Ma spero che la fortuna non gli sará cosí iniqua. Io studiava allora. — Non ti dirò, mio Lorenzo, chi egli è. Devo io rattristarti con le sventure di un uomo, che era un giorno felice e che tu forse ami ancora? È troppo anche se la sorte ti ha destinato ad affliggerti sempre per me.

Ei proseguiva: —Oggi, venendo da Albenga, prima di arrivare nel paese, v’ho scontrato lungo la marina. Voi non vi siete accorto ch’io mi voltava spesso a considerarvi: e’ mi parea di avervi ravvisato; ma, non conoscendovi che di vista, e giá essendo scorsi quattro anni, sospettava di sbagliare. Il vostro servo me ne accertò. —

Lo ringraziai perch’ei fosse venuto a vedermi: gli parlai di te. — E voi mi siete anche piú grato — gli dissi — perché m’avete recato il nome di Lorenzo. — Non ti ripeterò il suo doloroso racconto. Emigrò per la pace di Campo-Formio, e s’arruolò tenente nell’artiglieria cisalpina. Querelandosi un giorno delle fatiche e delle angarie che gli parea di sopportare, gli fu da un suo amico proferito un impiego. Abbandonò la milizia. Ma l’amico, l’impiego e il tetto gli mancarono. Tapinò per l’Italia, e s’imbarcò a Livorno... Ma, mentr’esso parlava, io udiva nella camera contigua un rammarichio di bambino e un sommesso lamento; e m’avvidi ch’egli andavasi soffermando ed ascoltava con certa ansietá, e, quando quel rammarichio taceva, ei ripigliava. — Forse — gli diss’io — saranno passaggeri giunti pur ora. — No — mi rispose: — è la mia figlioletta di tredici mesi che piange. —