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considerazione nona 309


potenti pel genio di un solo sovra le altre, sono poi schiave di quel solo e de’ discendenti di lui. Or questa regale famiglia ha d’uopo di collegarsi col cielo per dominare le braccia degli uomini, dominandone il cuore: * poiché, dove tu trovi popoli obbedienti ad assoluto potere non santificato dalla religione, ivi tu devi argomentare somma, corrotta ed insanabile servitú, e la tirannide o militarmente potentissima o vacillante.* Con questa ragione si spiega la moltiplicitá de’ numi; e dove si potessero ritrovare tutte le epoche de’ cangiamenti politici del mondo, si troverebbero nuove apoteosi. Seguirò solo le piú solenni. Gli etiopi, i quali per un’antica tradizione tennero (Plinio, libro vi, cap. 29) gran parte del mondo, tramandarono Mennone; gli egizi Sesostri; gli assiri Belo e Semiramide (Bianchini, Stor. univers., deca iii, cap. 21); i greci Alessandro; i romani Cesare. De’ secoli posteriori non parlo: chi di queste cose vede il midollo, può, senza piú, arrivare alle mie applicazioni; e chi non lo vede, perderebbe meco tempo e fatica1. Del perché Alessandro e Cesare non sieno a noi giunti come numi, si può assegnare tre ragioni: 1° la copia delle storie, che non concesse alla ignoranza del volgo di pascersi delle incerte meraviglie dell’antichitá; 2° i loro successori, nemici fra loro e di diverse famiglie; 3° le religioni armate, che sottentrarono alla gentile, come la cristiana a’ tempi di Costantino, e la musulmana dopo le conquiste di Maometto.

Mi fermerò sulle apoteosi delle tre prime regine di Egitto, delle quali ho parlato nel Discorso secondo. Ognun sa quanto Alessandro affettasse divinitá, sino a farsi credere figliuolo di Giove, ed a farsi salutare dal sacerdote indiano con questo nome. Molte medaglie con le corna, che passano sotto il nome di Lisimaco, sono da qualche erudito credute di Alessandro, appunto per quel simbolo di Giove Aminone. * Spanhemio nella dissert. v, De usu et praestantia numismatum, sfoggia una ricchissima erudizione su le

  1. Tra gli autografi del Nostro, conservati in Firenze, trovansi scritte in un foglietto le seguenti parole con la rubrica «Nota al Discorso terzo», e che noi crediamo non inopportuno pubblicare a questo luogo: «Nell’esequie di Enrico V re d’Inghilterra il duca di Bedfort fa in Shakespeare quest’invocazione: — O Errico, invochiamo l’ombra tua; felicita questo regno e salvalo dalle guerre civili: combatti ne’ cieli gli astri nemici della sua pace, e il firmamento sará col tuo nome arricchito d’una costellazione piú gloriosa di quella di Giulio Cesare o della splendida di Berenice. — Parte i d’Enrico VI» (Nota dell’ed. fiorentino).