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142 vii - viaggio sentimentale di yorick


LXIX

IL CASO DI DELICATEZZA

Come s’è tócca la vetta del Tararo, si corre all’ingiú sino a Lione. Addio per allora a tutti i celeri moti! vuoisi viaggiare con avvertenza: il che conferisce assai meglio a que’ sentimenti che non amano le fughe. M’acconciai dunque co’ muli d’un vetturale, perché nel mio sterzo mi conducessero, a loro comodo e a mio salvamento, a Torino per la Savoia.

Povera, paziente, pacifica, onesta gente della Savoia! non temere: il mondo non porterà invidia alla tua poverà, che è il tesoro delle tue schiette virtú, e non invaderà le tue valli! O Natura! qui tu sembri adirata; e qui nondimeno tu sei propizia alla povertà, creata anch’essa da te: qui ti sei cinta di edifici orribilmente magnifici, e t’è avanzato assai poco da concedere alla vanga e alla falce; ma quel poco è quieto e sicuro sotto al tuo patrocinio; e sono pur cari i tuguri cosí protetti da te!

Si crucci a sua posta il viaggiatore arso, affannato, e si disacerbi in doglianze contro alle improvvise tortuosità ed i pericoli de’ vostri sentieri, e contro alle rocce ed a’ precipizi, e alla noia dell’erta, e al ribrezzo della discesa, e contro alle vostre disastrose montagne, e alle cateratte che, spalancando nuove voragini, strascinano da’ burroni quegli sterminati macigni che gli precludono il passo. Anch’io, quando vi giunsi, vidi gli alpigiani che sino dall’alba sudavano a sgombrare la strada d’uno di que’ frammenti dell’alpe tra San Michele e Modàna, e per aver l’adito non bastavano forse due altre lunghe ore di stenti; ma io mi contentai del rimedio dell’aspettare e della pazienza: se non che la notte annuvolavasi burrascosa, e indusse il mio vetturale, che vedeva l’indugio, a pernottare, cinque miglia di qua dalla sua consueta posata, in un pulito alberghetto ch’era di poco fuor della strada.