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246 le grazie

Fresco portando alle mie Dive un favo,
(Nostro, e non dato ad altre genti, è il rito)
Per memoria del mèle onde alle Grazie
440Con soave ronzio fanno tesoro
L’eterne Api di Vesta: e chi n’assaggia,
Caro a’ mortali ed agli Dei favella.1
     O grazïose Dee, gioja degl’inni,
Per voi la bella donna oggi ha in sua cura
445Quelle alate angelette; e le frondose
Indiche piante onde i suoi lari ombreggia
Apprestano diporti alle vaganti
Schiere; e le accoglie ne’ fecondi orezzi
Un armonico speco, invïolate2
450Dal gelo e dall’estiva ira de’ nembi.
La bella Donna di sua mano i lattei
Calici dell’arancio, e la più casta
Delle vïole, e il timo, amor dell’api,
Educa, e il fior delle rugiade implora
455Dalle stelle tranquille: e l’Api a lei
Tesoreggiano; e amabile il sorriso
Spunta fra’ detti arguti, onde i procaci
Genj d’Amore e le virtù severe,
Adulando, rattempra.3 Ora costei
460Dal felsineo4 pendio, donde Appennino
Mira l’Orsa che indarno erra cercando
Le fonti di Neréo,5 mosse, ed a voi

  1. 441-42. Nell’antro Ditteo ove fu nutrito Giove era uno sciame d’api, le quali contribuirono ad alimentare il divino fanciullo. Però egli poscia le fece immortali, e le diede in cura a Vesta, anco perchè l’ape dagli antichi fu riputata schiva di nozze. Rispetto alla dolcezza del mèle, le api presso i Greci furono simbolo della eloquenza persuasiva; e su questo concetto il Foscolo va poetando per tutto il rimanente di quest’Inno.
  2. 449. Le api fuggono i luoghi ove risuona l’eco: ubi concava pulsu. — Saxa sonant, vocisque offensa resultat imago. (Virgil., Georg., 1. 4.) Ma queste api divine non li fuggono, particolarmente in Italia. Vedi la nota seguente, verso 517-25.
  3. 459. L’adulazione, per lo più, parla soavemente, ma tende lacci insidiosi: quindi il Poeta usa qui il verbo adulare per esprimere come la leggiadra coltivatrice di fiori, mentre tempera coll’amabile sorriso e coll’arguto e soave favellare gli animi inverecondi e gli scabri, ambedue avversi agli affetti gentili, con quegli stessi mezzi suscita loro dolcissimi perigli. Ministra delle Grazie pertanto, ammorza le violente ed inurbane, accende le mansuete e dilicate passioni.
  4. 460. Dai colli che sovrastano a Bologna, chiamata con antico appellativo Félsina da Félsino Re etrusco, che sembra ne fosse il fondatore. (Vedi Demster., Etrur. regal.)
  5. 461-62. La più bella costellazione del polo artico, la quale all’Europa non tramonta mai, o, come dicono i Poeti, non si attuffa mai nel mare, la fonte di Nereo deità marina. Arctos oceani metuentes æquore tingi. (Virgil., Georg., 1.)