Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/53

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L’uom più iniquo fra gli uomini, il tiranno,

Deluder mai? non io: chè tuo mi festi
Con tue lontane invisibili trame,
Trame regali insomma. Or via disfoga
L’astio ranchiuso, e solo in me rivolgi
E tue rampogne e ’l tuo furor; costei,
Innocente, risparmia. Io solo, io solo
Tue pene merto; chè sol io qui venni,
Sol io furente di pugno strappaile
Il da lei tolto ferro, onde lanciarti
Inulto a Stige: e ormai forse il saresti,
Se in costei non avesse argin trovato
Il mio proposto.
Atreo. Or vedi eroe! ti vanta
Di tradimento, e del tuo amor: la cara
Esca tenta scusar: così fors’io
A tant’uopo farei: così notturno
Assalitor sarei, s’io di fraterna
Fede t’amassi, qual tu m’ami. – Intanto
Qual, ond’io deggia da te averne pena,
Qual a’ tuoi vanti contrapporre io posso
Vanto sublime? Seduttor non io
Della consorte del mio re, non io
Fratricida superbo, esule infame;
Non io Tïeste insomma.
Tieste. Rapitore
Della promessa un dì tenera amante;
Usurpator del trono mio; feroce
Dell’oscurata mia vita raminga
Persecutor, tiranno infine: questi
I vanti son da contrappormi. Io mai,
D’allor che mi svellesti Erope, e in bando
Tu mi cacciasti per aver mio regno,
Ti fui fratello; nè fraterno amore
Io ti promisi: ma fratello sempre
Tu mi nomasti, e nimistà frattanto,
Odio perenne, m’apprestavi. Il lungo
Esilio mio, le mie sventure, e l’alto