Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/60

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Ei che tramò di pur rapirten’uno?

Ippodamia. Vedi tu questo mio braccio tremante?
Ei vendicava un figlio, ove Tïeste
T’avesse ucciso: ora tu vivi, e regni;
Nè egli fia spento anzi di me.
Atreo. Tïeste
Morrà: tu meco viverai regnando.
Fiati più caro il tuo lungo dolore
Diviso meco, che il perpetuo nostro
Mortal periglio. Non sarem securi,
Fin che il fratello vive.
Ippodamia. Alta, inumana
Crudeltà spiran tuoi tiranni detti!
Io morrò; e ratto: chè pugnale acuto
A tant’uopo mi serbo. Io funestarti
Vo’ tua vendetta col morir mio prima;
Se pur funesta a te sarà mia morte.1.
Atreo. Or dove corri?
Ippodamia. Ad abbracciar morendo
Il figlio mio. – Di filïal pietade
Dà questo segno almeno; unico forse,
Ed estremo ei sarà. Sin che la luce
Del dì rifulse, d’Erope e Tïeste
Intorno all’atre carceri piangendo,
Io tutta notte errai: temea che crudo
Tuo manigoldo gl’immolasse entrambi.
Il giorno aprissi, e qui men venni. Indarno
Priegai; ciò non rileva: or sol ti prego,
Fa che il carcer si schiuda, ivi concesso
L’entrare a madre sia. Stretta a mio figlio
Perdere io voglio l’estremo sospiro.
Atreo. A pietà tu mi sforzi: a tue materne
Lagrime calde chi resister puote?
Qui dunque fia che tu l’abbracci. –2
Emneo,
A me Tïeste ed Erope.3.
Ti calma;
Ove Tïeste il voglia, io ti prome

  1. In atto di partire
  2. Alla Guardia
  3. La Guardia parte