Pagina:Fracastoro - La sifilide.djvu/117

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Ocëano fendeano i pini arditi
Per ignoto cammino errando a lungo.
Le Nereidi muoveano ad essi intorno,
Mostri del nuovo mar, nuotando in frotta,
100E stupiano in veder le poppe eccelse,
E le volanti in mar vele dipinte.
Notte era, e in puro ciel splendea la Luna,
Chiaro spargente sulle tremul’onde:
Quando l’Eroe dai fati a tanto eletto,
105Duce di flotta in onde vaste errante:
O tu Luna, sclamò, che ai flutti imperi,
Che nel nostro cammin due volte il corno
Mostrasti curvo, e pien sull’aurea fronte,
Dacchè terra non vedesi; o del Cielo
110E della Notte onor, Vergin Latonia,
Deh! toccar danne sospirato un porto.
Ella udì il priego, e per l’aere labendo
In Nereide mutossi, e, qual Cimotoe
O Cloto, stette della nave appresso,
115E, nuotante a fior d’onda, a dir imprese:
Navi mie, non temete: all’indomane
Terra e porto fidalo aver potrete.
Ma non v’arresti il primo lido: il fato
Oltre d’assai vi chiama; al mar in mezzo
120V’à grande isola Ofiri; a lei sia il corso,
E sede avrete e impero. — In così dire
Urta il pino: egli il mar rapido fende. —
Facili spiran l’aure, e già dall’onde
Sorgeva il Sol, quando da lunge ombrosi
125Spuntano i colli, e terra è presso: un grido
Dei nocchieri alla terra invia il saluto,
Alla terra bramata, e in porto amico
Giunti, ai pietosi Dei sciolgono i voti,
E curan l’egre navi, e i corpi lassi.
130Indi al dì quarto, poi che al mar le vele