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Pagina:Fracastoro - La sifilide.djvu/119

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Noto invitò, diero di piglio ai remi;
Lieti a rivalicar l’onde cerulee.
Lasciano Antilia, in dubbio mar natante
L’alta Ammeria, ed Agìa, dei Caniballi
135L’infame terra, e la silvestre Giane.
Ed ecco d’alte torri isole ornate,
Molte scoprono in mar; una fra queste
Folta di selve opache, risuonante
D’un fiume al corso, che nel vasto letto
140Fulgide arene d’oro al mar travolve.
Piace a questa drizzar le curve poppe,
Poichè invitanvi i boschi e l’onde pure.
Presto del verde suol messi al possesso
Salutan pria la terra ignota, e il Genio,
145E le Ninfe del loco, e te che d’auro
Con nitid’onde, o Fiume, al mar trascorri.
Quindi la dura Cerere, e il natio
Bacco spacciato sull’erboso lito,
Chi cerca uom ch’ivi sia, chi d’ôr l’arene.
150Pei rami ombrosi della selva a caso
Svolazzava d’augei schiera che pinta
In ceruleo le piume, e in rosso il rostro,
Giva secura pel natio boschetto.
Come una man di giovani la vide
155Per l’alta selva; palle orrende, e, imago
Del fulmine, lo schioppo impugnan, tuo
Ritrovato o Vulcan, ch’armi i Teutoni,
E agli uomini lo stral rechi di Giove.
Ed ecco ognun l’augel segna cui cogliere;
160Poi nitro, e zolfo, e cenere, di salcio
Calca nell’arma, cui favilla accostasi.
L’ignea forza costretta al foco subito
Accendesi, dilatasi, senz’obice
Spinge la palla inclusa, e questa stridula
165Fende l’aria: qua e la cadono esanimi