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Degnossi; ed anco lievi cose àn pregio,
Che in ver sott’esto tenue vel s’asconde
Grande origin di fati, e di Natura.
Urania tu che astri e cagion conosci,
25E le plaghe, e del ciel gli effetti varii,
(Così mentre che scorri il puro Olimpo,
E ne misuri le lucenti stelle,
Tutte t’applaudan con divin concento)
Dea, vien meco a scherzar fra l’ombre chete,
30Ve’ dolci spiran l’aure, e i mirti spessi,
E risponde dai cavi antri il Benaco.
Narra quai cause, o Dea, da tanta etade
Diero sì strana lue? Forse condotta
Dal mar occiduo a noi sen venne, quando
35Eletta gioventù dal lido Ibero
Sciolse, l’ignoto mar tentando ardita,
A cercar terre in altro mondo poste?
Poi ch’è fama che eterno il morbo infetti
Ognor quei siti per maligno influsso
40Di ciel, vagando, e la perdoni a pochi.
Or crederem, che del commercio a colpa
Tal ne venisse lue, che, lieve in prima,
A poco a poco indi acquistando forze,
E pasco, s’espandesse in ogni terra?
45Spesso così, se a caso una favilla
Cade da lume in su le stoppie, e in campo
Riman negletta dal pastor, serpeggia
Piccola e tarda sul principio, e poi
Cresciuta s’erge, e vincitrice invade
50Le messi, i solchi, il vicin bosco, e al cielo
Vibra le fiamme: crepitando stride
Di Giove la foresta, e l’aria e i campi
Splendono intorno. — Ma così non déssi
Creder, se merta fè quanto vedemmo.
55Venuta d’oltremar certo non lice