Messi; ruggine scabra i gambi invase,
E diè la madre terra infetti i semi.
Soli talora gli animali, e d’essi
O molte, o qualche spezie, ebberne pena. 270Tal maligna stagione io pur ricordo,
E tal per Austro umido Autunno, in cui
Sol le capre perian: lieto il pastore
Le traea dalle stalle ai paschi, e mentre
Ei cantava securo all’ombra densa, 275Molcendo il gregge coll’umil zampogna,
Irrequïeta ecco una tosse alcuna
Prenderne, e morir tosto: a salto spinta
Ruinoso, versando il fiato estremo,
Moribonda cadea fra le compagne. 280A primavera quindi, e alla seguente
State ria febbre la belante greggia
(O stupor!) tutta quasi a rapir venne.
Son dell’infetto ciel varii cotanto
E germi, e spezie, e il numero a vicenda 285Tra cose mosse, e tra moventi, è fisso.
E non vedi la lue, benchè sien gli occhi
Molli, ed esposti più che il petto anelo,
Ficcarsi in fondo del polmone? — È l’uva
Molle dei pomi più, pur non per essi 290Guastasi, e l’uva stessa offende l’uva.
Che forze qui, quivi alimento manca,
Gli indugi altrove ànno influenza, e i pori
Or troppo fitti, or troppo radi, anch’essi. Nei contagi poichè dunque sì varia 295Natura e spezie, e in modi portentosi
I germi ancor, tu ben t’affisa in questo
Che origine à celeste, ed inusato,
Quanto ammirando, apparse. Ei non corruppe
Del mar i muti abitator, non belve 300Pei boschi erranti, non augelli o bovi