Ma quïete per essi e sopor nullo:
Odïata sorgea l’alba, e nimica
Della notte e del giorno avean l’imago.
Cerere in nulla, e in nulla i don di Bacco 375Loro valean: non dolci e in copia i cibi,
Non di città piaceri, agi di villa,
Benchè nitide fonti, e Tempe amene,
E cercasser sui monti aure tranquille.
E preci sparse, ed arsi incensi ai Numi 380Fur anco, ornate l’are a ricchi doni:
Ma non mosser gli Dei preghiere e doni. Dei Cenomani io stesso, io mi rammento,
Ve’ con onda Sebina Oglio trascorre
I pingui paschi, insigne aver veduto 385GIOVANE il più felice, ed in Ausonia
Illustre più, di pubertà sul fiore,
Per auro ed avi, e per beltà potente,
Cui studio era frenar destrier focosi,
O cinger l’elmo, o sfolgorar tra l’armi, 390E in dura lotta avvalorar le forze,
E cervi preoccupar, dar caccia a fere.
Le fanciulle del Pò, le Dee dell’Oglio
Lui bramaro, e le Dee delle foreste,
E della villa le fanciulle: tutte 395Ne desïar le nozze. — Alcuna forse
Da lui negletta, i Numi, e non invano,
Mosse a punirlo; ed ei, nulla temente
E di sè baldo, sì ria peste incolse,
Che più crudel non fia, nè fu giammai. 400A poco a poco allor sparve quel fiore
Di coraggio e di età; squallida strinse
La tabe gli arti — (orrendo a dirsi!) — e l’ossa
Maggiori si gonfiar per tumor sozzi.
Dei che pietà! Deformi ulceri i vaghi 405Occhi, e l’amor pascean dell’alma luce: