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Pagina:Fracastoro - La sifilide.djvu/85

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Tutto solcar quanto Anfitrite il cinge,
Nè dall’ultimo Atlante ai golfi Esperii
Giunger bastolle, e sotto l’Orsa a Prasso,
Veder di Rapto i lidi alpestri, e addurre
30Dal mar Carmano ed Arabo le merci;
Ma più si giunse alla Titania Aurora
Sopra Indo e Gange, ove al noto orbe dava
Catigara confin, Ciambe lasciata,
E le d’ebano e noci altere selve.
35Dal nostro un mondo al fin per genti e cielo
Diverso, e chiaro per maggiori stelle,
Toccammo, i Dei reggendo il corso ardito.
Insigne un Vate anco vedemmo, al canto
Di cui fer plauso Partenope bella,
40L’ombra di Maro, e il placido Sebeto.
Degli astri il giro egli cantava, e gli orti
D’Esperia, e quante à il ciel mutabil piagge.
Ma di te per lacer e d’altri, cui
Fama appo morte, e le future etadi
45Porranno a paro degli antichi, o BEMBO;
Di quel non tacerò, dono a noi dato,
Magnanimo LEON, per cui s’estolle
Il Lazio, e la gran Roma, e dal suo letto
A Roma trïonfante il Tebro applaude.
50D’esso al favor, le avverse stelle al mondo
Già cessan di far onta, e Giove regna
Diffonditor di pura luce in cielo.
Sol Ei, appo tai pene e lunghi stenti,
Agli ozii dolci le fuggenti Muse
55Richiamò, e al Lazio il prisco dritto e il retto,
E la pietà tornata, in mente volge
Sante per Roma e per la Fede imprese.
L’ampie bocche del Nilo indi, e l’Eufrate,
E d’Asia treman l’onde a tanto nome,
60E fugge l’Egea Dori agli istmi suoi.