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Fascio Terzo. 221

Lasciali con la forza, che l’impicchi:
     Che da questi cervel dramma di succhi
     Non caveresti mai co’ tuoi lambicchi.
Meglio è, ch’in Pindo tuo, tù t’abbalucchi
     E ch’à finir questo Viaggio strano,
     Col saper di mia Palla Apollo io trucchi
Mentre hora fermo, et hor col passo piano
     Restringendo mè stesso entro il mantello,
     Sul dorso io già del mio Caval Seiano
D’uno pioggia sottil, come il capello,
     Sopra il mio Caporal vena stillava,
     Ma poi fassi Marino anco il Ruscello.
Feci sdrucciolo tal dentro una cava,
     Che ’l capitolo ancor ne stà dolente,
     E guai à me, se vi facea l’ottava.
Mentre cade il Cavallo, & io repente
     I soccorsi del Ciel chiamo anhelante,
     Biastemma il Vetturin, che non hà niente
Rompicolli al Ronzin prega Forfante,
     Nè considera poi la consequenza,
     Che se muore il Cavallo, io resto Fante
Così, mentre vegg’io la mia patienza
     A confusione ad infusion condotta,
     Ne la mollitie altrui fò penitenza.
Si spezzar due Corregge in una botta
     Su ’l Valigin, mà quando un c.. è franto,
     Stupor non è, se la Correggia è rotta.
Pur gridando, & oprando io feci tanto,
     Ch’a le miserie mie trovai soccorso,
     Mentre i molli Calzon stillavan pianto.
Al fin tornai del mio Cavallo al dorso,
     Non di passo Chinea, ma di ginocchio,
     Barbaro di costumi, e non di corso.