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Fascio Primo. 43

remo di noi stessi Tiranni a disanimarci, od a negare un salutifero coraggio alle nostr’alme? E s’egli è vero, che a’ mali porta per lo più il tempo le vicissitudini del miglioramento, chi n’assicura, ch’estenuati dalle nostre arbitrarie mestitie possiamo haver agio di riveder cambiate le scene, e migliorati gli atti alla Vita? E pur meglio licentiar vivendo il dolore, che nudrirci in seno alle sue licentiose frodi, perche n’uccidano. Il tempo del piangere termina ne’ suoi stessi principij, cioè nell’età di fanciullo. Chi ne i progressi della vita il ripiglia, altro non fà che rimbambire, per invecchiar più tosto. Non v’è cosa più nemica della natura ch’un dolor lungo; poiche per esso gli attributi di natura s’abbreviano.

Heraclito non meritò il titolo d’huomo, perchè l’huomo ch’è ragionevole, hebbe di risibile il titolo. Quella cosa, ch’eccita il riso, pur ch’esso dal labro d’un mentecato non isgorgi, è per lo più in noi un giudicio dell’intelletto, che oltre il senso, che l’imaginatione commune conosce esser quella deforme, amirabile, ò dilettevole. Ciò non è dato a’ Brutti, i quali non hanno attione di ridere, perchè manca loro la potenza.

Son morbi di predominante Natura le lagrime dei fanciulli; e però Zoroastro, che nascendo rise, fè pronostico d’haver a riuscir un Mago, cioè un operante sopra