Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/232

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226 libro terzo

— Convien che ad altra preda ti conduchi
— disse colei:— o figlio, io non ti basto,
da che hai piú fame quanto piú manduchi.—
     Allora il drago, per aver il pasto,
140tra quelle genti rapace si mosse,
come fa il lupo tra le mandre el guasto.
     E, non sguardando qualunque si fosse,
or questo or quel divora e ’l sangue beve
colli suoi denti e coll’ultime posse.
     145E, s’egli cresce al pasto che riceve,
e quanto cresce, tanto ha piú appetito,
convien ch’ogni gran cibo a lui sia breve.
     Vidi poi il drago crudele ed ardito
venir ver’ me con sí grande tempesta,
150che di paura io sarei tramortito,
     non fusse che Minerva presta presta
a me soccorse, e tra lui e me si mise,
e, quando venne, gli tagliò la testa.
     Mirabil cosa! Sette ne rimise,
155e tutte e sette quelle teste nuove
anco la dea gli tagliò e ricise.
     Nacquene in lui ancor quarantanove;
e fu quell’idra, giá morta da Alcide,
quando nel mondo fece le gran prove.
     160Quando dea Palla di questo s’avvide,
che ogni capo ne rimette sette,
quantunque volte la spada il ricide,
     non con quell’arme piú gli resistette,
ma disse a me:— Qui è bisogno il foco:
165quest’è quell’arme ch’a morte lo mette.—
     Descender vidi allora su ’n quel loco
una gran fiamma, e quel serpente estinse
e féllo come pria diventar poco.
     In questo modo la mia scorta el vinse.