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228 libro terzo

è quel dimon, ch’entrò nel cor di Giuda,
quando col bascio il gran Signor tradío
30per l’appetito della lupa cruda.
     Il quarto mostro, piú malvagio e rio,
è quel che ’l secol d’oro e l’etá lieta
conturbò prima con dir «tuo» e «mio».
     E ’l coltel sanguinoso e la moneta
35vedi che porta, ed è pien di veneno,
fiero e rapace senza nulla pietá.—
     Poi tanti mostri parturío del seno
e tanto brutti la bramosa lupa,
ch’a numerargli ognun ne verría meno.
     40— Ella è nel ventre tanto grande e cupa
— disse Minerva,— e mena a tanti lacci,
ch’ogni intelletto grande e legge occúpa.
     Perché nel fundamento ben lo sacci,
attendi ch’avarizia è voglia accesa
45di conservar o ch’acquistar procacci.
     Se ad acquistar questa voglia fa impresa,
sta in faticosa cura e sempre in moto
e sempre al pasto con la mente attesa;
     ché sempremai ’l voler, quand’è rimoto
50da quel ch’egli desia, si move e corre,
insin ch’è pien, se gli par esser vòto.
     E, perch’empier non puossi e fame tôrre
giammai l’avaro e bramoso appetito,
salvo al desio non voglia termin porre,
     55per questo avvien che quanto piú è ito
oltra, acquistando, tanto s’affatica:
però tal cura cresce in infinito.
     E quanto vien piú verso l’etá antica,
tanto piú cresce e per amor del pasto
60ogni altro amor disprezza ed inimica.
     Quinci escon i gran mal, che ’l mondo han guasto;
ché, quando questa brama non s’affrena,
sforzando, ruba altrui con onte ed asto