Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/259

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capitolo xii

     Domizian mostrommi e poi Nerone
e molti altri tiranni, e nulla staccia
30ha tanti fori, quant’han lor persone.
     Forata e fessa avean tutta la faccia,
ed avean mozzo l’uno e l’altro piede
e dagli omeri suoi ambe le braccia.
     — Tutta questa gran turba, che tu vede,
35la notte— disse— risanan le piaghe;
poi la mattina, quando il giorno riede,
     prendon le spade ovver l’acute daghe;
tra sé fan la battaglia irati e fieri,
sí ch’elli stessi a sé dánno le paghe.—
     40Io stava ad ascoltarlo volentieri,
se non che Palla disse che n’andassi,
però ch’altro vedere era mestieri.
     Per una stretta via vòlse ch’intrassi:
sempre salendo, giunsi su in un balzo,
45ove vendetta della gola fassi.
     Io dirò ’l vero, e forse parrá falzo:
vidi in terra utricelli su in quel giro
ovver vessiche, quando il viso innalzo.
     E, lamentando con molto sospiro,
50gridavano a gran voci:— Omei, omei!—
come persona afflitta e che ha martíro.
     Per ammirazion fermai li piei
dicendo:— Che vessiche o che utricelli
son questi, che tu odi e che tu véi?—
     55E poscia m’appressai a un di quelli
e dissi:— O utricello ovver vessica,
prego, se puoi, che tu a me favelli
     e con aperta voce tu mi dica
chi sète voi, innanzi che su varchi,
60e quale affanno o doglia vi affatica.—
     Rispose come alcun che si rammarchi:
— Stomachi siamo noi e molto offensi,
stomachi siam del troppo cibi carchi;