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dell’uva. 259

guasti, non che dalle parti vecchie e malconcie, quando queste abbiano in basso qualche tralcio nuovo. Infatti, se il primo sviluppo dell’oidio si mostra poi sulle parti verdi, pure tra la corteccia delle parti vecchie potrannosi celare le granulazioni delle spore dell’anno trascorso, e queste servire alla futura riproduzione. Gioverà eziandio la concimazione abbondante, siccome quella che ha per iscopo di mantener vegeta la vite e farle superare le cause sfavorevoli al di lei sviluppo. Utile sarà pure il levare, raschiando, la vecchia corteccia e tutte le parti secche e guaste lungo il gambo e lungo i tralci; così pure non sarà cosa mal fatta raccogliere e portar fuori della vigna avanti l’inverno tutte le rimondature della vite e le foglie secche, e tutto ciò infine che può servire ad aumentare la successiva riproduzione della muffa per mezzo di vecchi germi.

L’oidio, è poi una malattia affatto nuova, oppure si conobbe in altri tempi? A quanto pare questa muffa, od altra ben consimile, visitò altre volte i vigneti italiani. Alcuni vecchi campagnuoli dicono d’averla veduta circa ottant’anni sono, e che durò cinque anni. Negli archivj di Genova esistono documenti dai quali risulterebbe che una muffa devastò i vigneti più d’un secolo fa. Nella Valtellina sembra che siasi mostrata nel secolo XVI; ed in alcune scritture d’affitti di fondi nel Luganese del secolo XVII trovasi un capitolo esprimente un compenso nel caso che nelle uve si manifestasse il morbo farinella. Dante nel canto XII del Paradiso, a proposito di San Domenico, dice:

In piccol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna
Che tosto imbianca se il vignajo è reo.

Plinio nel libro XVII, capo XXXVII, § 11 si esprime come segue: «Nascitur hoc malum tepore humido et lento fit et aliud vitium ex eodem, si sol acrior insecutus inussit ipsum vitium ideoque mutavit. — Est etiam peculiare olivis et vitibus (araneum vocant) quum veluti telae involvunt et absumunt». Cioè che vi ha una malattia che si sviluppa dietro un calor umido, e che si dice ragno, perchè al pari di quello involge il frutto con una ragnatela e lo consuma.

Epperò se la malattia, ora detta oidio delle viti, non è cosa nuova, giova sperare che al pari d’altre volte se ne andrà e lascerà libere nuovamente le nostre viti.