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26 | libro primo |
mal regolata, cosí è questa per lo piú o ingiusta o poco sincera. Intanto, gli uni per soverchio, gli altri per poco prezzargli, niuno ne rimane, che del valore di questi metalli sanamente stimi e ragioni. Grandissimo numero di gente io sento esser persuasa che il loro pregio sia puramente chimerico ed arbitrario e che derivi da un error popolare, che insieme colla educazione si forma in noi; ed è perciò nominato da questi sempre co’ titoli ingiuriosi di «pazzia», «delirio», «inganno» e «vanitá». Evvi chi, piú discreto, crede che il consenso degli uomini determinatisi ad usar la moneta ha dato imprima a questi metalli, de’ quali piacque servirsi, quel merito, ch’essi non aveano in sè. Pochissimi sono, i quali conoscano che questi hanno nella loro natura istessa e nella disposizione degli animi umani fisso e stabilito costantemente il loro giusto pregio e valore. Di quanta conseguenza sia il determinare questa veritá prima d’inoltrarsi, lo conoscerá il lettore, vedendo che ad ogni passo, disputando del valore estrinseco, dell’alzamento, degl’interessi, del cambio e della proporzione della moneta, sempre ad un certo valore intrinseco e naturale si ha ragione.
Aristotele, uomo per altro d’ingegno grandissimo e maraviglioso, nel libro quinto de’ Costumi, al capitolo settimo, ove ha molte belle considerazioni esposte, intorno alla natura della moneta ha pensato cosí: τὸ νόμισμα γέγονε κατὰ συνθήκην· καὶ διὰ τοῦτο τοῦνομα ἔχει νόμισμα, ὅτι οὐ φύσει ἀλλὰ νόμῳ ἐστί, καὶ ἐφ’ ἡμῖν μεταβάλειν καὶ ποιῆσαι ἄχρηστον. «Ex convento successit nummus, atque ob hanc causam νόμισμα vocatur [a Graecis], nempe a lege, quia non natura, sed lege valeat, sitque in nostra potestate eum immutare inutilemque reddere». E nelle Opere politiche, al libro primo, capitolo sesto, lo stesso ripete. Or, se ne’ suoi insegnamenti è stato questo filosofo oltre il dovere, con nostro danno, seguitato, in niuno piú che in questo lo è stato. Quindi si vede che il vescovo Covarruvias in questo modo siegue ad argomentare dietro al suo maestro: «Si non natura ipsa, sed a principe valorem numismata accipiunt, et ab ipso legem revocante inutilia effici possunt, profecto non tanti aestimatur materia ipsa auri vel argenti, quantum numus ipse; cum, si tanti aestimaretur, natura ipsa, non