Pagina:Galilei - Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze - 1638.djvu/263

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SAGR. Fermate, in grazia, perché qui mi par che convenga adornar questo pensiero dell’Autore con la conformità del concetto di Platone intorno al determinare le diverse velocità de i moti equabili delle conversioni de i moti celesti. Il quale, avendo per avventura auto concetto, non potere alcun mobile passare dalla quiete ad alcun determinato grado di velocità, nel quale ei debba poi equabilmente perpetuarsi, se non col passare per tutti gli altri gradi di velocità minori, o vogliam dire di tardità maggiori, che tra l’assegnato grado e l’altissimo di tardità, cioè della quiete, intercedono, disse che Iddio, dopo aver creati i corpi mobili celesti, per assegnar loro quelle velocità con le quali poi dovessero con moto circolare equabile perpetuamente muoversi, gli fece, partendosi loro dalla quiete, muover per determinati spazii di quel moto naturale e per linea retta secondo ’l quale noi sensatamente veggiamo i nostri mobili muoversi dallo stato di quiete accelerandosi successivamente; e soggiugne che, avendogli fatto guadagnar quel grado nel quale gli piacque che poi dovessero mantenersi perpetuamente, convertì il moto loro retto in circolare, il quale solo è atto a conservarsi equabile, rigirandosi sempre senza allontanarsi o avvicinarsi a qualche prefisso termine da essi desiderato. Il concetto è veramente degno di Platone; ed è tanto più da stimarsi, quanto i fondamenti taciuti da quello e scoperti dal nostro Autore, con levargli la maschera o sembianza poetica, lo scuoprono in aspetto di verace istoria. E mi pare assai credibile, che avendo noi per le dottrine astronomiche assai competente notizia delle grandezze de gli orbi de i pianeti e delle distanze loro dal centro intorno al quale si raggirano, come ancora delle loro velocità, possa il nostro Autore (al quale il concetto Platonico non era ascosto) aver tal volta per sua curiosità auto pensiero