Pagina:Gandolin - La famiglia De-Tappetti, Milano, Treves, 1912.djvu/129

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Agenore comincia a pestar i piedi.

— Stai cheto, stai cheto, Agenore. Noi finiremo per entrare, onde uscire da questa perplessità. Vieni: tergiversiamo nuovamente il cammino già compiuto, torniamo a questa via non meno Crucis che nazionale.

Tutto si trova a questo mondo e Policarpo De-Tappetti, finalmente, trova la porta per cui si entra. Ma proprio al momento in cui sta per introdurre il proprio individuo in quell’invenzione di Procuste ch’è il contatore, un portiere gli dice:

— Se vuole entrare, entri pure, ma l’avverto che tra sei minuti si chiude l’esposizione.

— Figlio mio, — esclama Policarpo, sbigottito: — sulle pratiche emarginate del destino era scritto che noi non dovessimo entrare in questo santuario dell’arte. Vieni: torniamo alle tranquille ma nutritive gioie domestiche.

— Ma io voglio andare sul tram.