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è soffocante; Agenore ha fuori un palmo di lingua; la signora Eufemia va in acqua dal sudore; l’infelice Rosa fa salire gli ultimi rantoli d’una serva oppressa al trono dell’eterno; Policarpo s’asciuga la fronte, con un grembialino di Agenore, e dice con voce tronca e affaticata:
— Qui almeno.... si respira un po’ d’aria....un po’ d’aria sana.... fa piacere.... in verità....che bella frescura!
— A me pare — soggiunge Rosa — che ci si crepi di caldo.
— Tu non calcoli il peso delle parole, disgraziata! — grida Policarpo. — Tu calunnii la villeggiatura, tu vorresti insinuare nel core inesperto del mio tenero figlio, un sospetto: il sospetto che Policarpo De-Tappetti sacrifichi 22 lire d’affitto per fargli soffrire in piena campagna il caldo insopportabile delle grandi città.
— Scusami tanto, ma io provo un caldo simile a quello di Roma.