Pagina:Garibaldi - Clelia.djvu/184

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170 il governo del monaco


«Paragonando poi quei tempi eroici — con gli obbrobrii dell’impero e della decadenza e in ispecie colla più moderna storia dei preti; così avviluppata in un caos di umiliazioni, di prostituzioni; di miserie — sentii tutto il peso d’una mortificazione inesprimibile. — Studiando — concepii un immenso disprezzo; un odio profondo per il Clericume — istrumento principale dell’abbassamento e del servilismo del nostro popolo. Con indole tale e tali sentimenti, — vi persuaderete facilmente che le occupazioni e i divertimenti principeschi della mia casa — gli sterminati omaggi dell’aristocrazia Romana — serva del prete e dello straniero — non potevano avere le mie predilezioni. — Non tra le cortigianesche passeggiate. le feste, i balli e le dissipazioni vane; ma tra le splendide ed immense ruine di cui è seminata la nostra Metropoli, io trovavo le mie delizie — e cavalcando o a piedi — quasi ogni giorno, passavo alcune ore tra quei superbi avanzi della grandezza Romana. Giunta all’età di quindici anni, più dell’ago, dei ricami e delle mode, mi erano famigliari i capi d’opera dei maestri dell’arti belle — le macerie del Foro e quelle sparse nella deserta campagna intorno a Roma.