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CAPITOLO XLVIII.

LA CENA CAMPESTRE.

Chi è che non parteggia per la civiltà in confronto del barbarismo — e della vita selvaggia? Chi non preferisce gli agi di una buona casa — fresca di state — ben riscaldata d’inverno — con ogni comodo e buone vivande, un pò di superfluo — alle intemperie della campagna, ai disagi e alle privazioni?

Quando si pensa: essere sì pochi coloro — che godono — o per meglio dire monopolizzano i beneficii della società incivilita — e che tanti sono i sofferenti — non si può a meno di dubitare: se veramente la classe povera ritrae molto profitto dalla civiltà presente. — Egli è lecito chiedersi ancora, se essa può qualche volta — questa classe che pure è la maggioranza — desiderare la condizione selvaggia dei primitivi abitatori della terra — tra i quali se non v’eran palazzi, e cuochi, e mode, ed abiti — e vivande raffinate — non v’eran preti, birri, prefetti, esattori di tasse