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Ed i cinquanta Palermitani eran giovani degni dei loro antenati — da non indietreggiare davanti a qualunque pericolo. — Ma troppo ineguale era la pugna!

Il fosso e la prima trincea furon varcati dai valorosi figli di Palermo, verso le due del mattino, e le sentinelle colla guardia esterna eran cadute sotto il loro ferro.

Chiuso però il gran cancello, che metteva nell’interno del forte, il procedere avanti divenne impossibile, e ripigliato coraggio, i Borbonici grandinarono sui cinquanta eroi tale una furia di palle, da uccidere la maggior parte, e metter quasi tutti i restanti fuori di combattimento.

Giungevano le fucilate direttamente dal cancello di ferro, dalle feritoie laterali, e da qualunque punto, o finestra, ove potevansi collocare tiratori.

E che potevano i nostri senza armi da fuoco?

In un momento lo spazio occupato dai cinquanta tra la trincea esterna ed il cancello, fu un mucchio di cadaveri e di feriti. — E i mercenari borbonici non cessavan dal fuoco.

Noi abbiam lasciato, nel capitolo anteriore, Marzia furibonda, correndo per i corridoi del castello, ed aprendo, con tutta la sveltezza di cui era capace, tante celle quante ne trovava, e così pervenne a veder i volti amati della sua Lina e di Lia: molti furono pure i detenuti patriotti in tal modo liberati.

Poche furono le parole d’intelligenza tra i li-