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capitolo xx 97


avean luogo per le strade. — Giacché non solo sparavano le artiglierie della truppa concentrata in Palazzo Reale, Castellamare, ecc., ma la flotta Borbonica infilando le strade principali, le spazzava coi suoi forti proietti e distruggeva non pochi edifizi con granate e bombe.

Ed ognuno sa che quando i bombardatori1 ponno bombardare una povera città senza esserne molestati, la loro bravura da cannibali si accresce in ragione geometrica.

Ben presto però il popolo di Palermo accorse all’erezione di quei propugnacoli cittadini, che fanno impallidir la tirannide — le barricate — e vi si distinse come direttore il colonnello dei Mille, Acerbi, milite valoroso di tutte le battaglie italiane.

I popolani, armati d’un ferro in qualunque guisa dal coltello alla scure, presentavano nei giorni susseguenti, quelle imponenti masse, irresistibili in una città, a qualunque truppa, per ben organizzata che sia. E quando un’intimazione di deputati borbonici fece significare ai Palermitani: di dover ricorrere alla clemenza del Re, un ruggito di sublime sdegno — somigliante a quello dei terribili nostri vulcani quando scuotono la superfìcie del globo — si udì nelle

  1. I bombardatori di città e quei bulli che fucilano individui inermi come i Ciceruacchio ed i volontari fucilati dopo Aspromonte, son gente che non dovrebbero più vivere nei paesi civili, ma come Aynau essere gettati nei fiumi o presi a bastonate.