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100 i mille


cacciarono da tutti i punti centrali della città i soldati borbonici verso il Palazzo Reale a mezzogiorno, e verso Castellamare a tramontana. Le comunicazioni tra il quartier generale e la flotta divennero impossibili, ed i primi indizi d’una capitolazione furono: la richiesta del permesso di condurre i feriti nemici sulla flotta, per esser trasportati a Napoli, e quello di seppellire i morti che ammonticchiati nei siti delle pugne, cominciavano ad infettar l’aria.

Ciò richiese un armistizio di 24 ore — e Dio sa se noi ne avevamo bisogno, obbligati come eravamo di fabbricar la polvere e cartucce di cui fummo privi durante delle ore!

E qui giova ricordar pure che nessun soccorso d’armi o di munizioni ci venne dai legni da guerra ancorati nel porto e sulla rada, compresa una fregata italiana, su cui il comandante cacciò un mio messo, senza volerlo ascoltare. In quei giorni solenni in cui avremmo pagato a peso di sangue alcuni mazzi di cartucce!

Se ben mi ricordo, si comprò un vecchio pezzo di ferro da un bastimento greco.

Comunque, la fortuna arrideva al coraggio ed alla giustizia. Si fabbricava una cartuccia e si tirava. Le fucilate nemiche all’opposto sembravan grandine, ma i militi della libertà non le temevano, ed impavidi progredivano colle barricate verso il covile dei mercenari.

I generali nemici spaventati da tanto eroismo cercavan di capitolare, ed una prima conferenza