Pagina:Garibaldi - I Mille.djvu/20

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viii i mille


quindi occuparsi di politica — e convincersi che il suo contegno calmo, dignitoso, ma energico nello stesso tempo nella insofferenza d’oltraggi od esigenza di diritti — il suo contegno, dico, deve servire di stella polare alle città sorelle, per ottenere un’Italia prospera e rispettata nel mondo.

Posta così a capo del progresso nazionale — e partecipando alla buona ed alla cattiva fortuna del resto della Penisola, la vecchia matrona — sarà impossibile esser la nostra bella patria trascinata indietro nell’anfiteatro del fanatismo e della tirannide.

Emancipata dall’idolatria, e spinta col suo culto del vero e della giustizia verso la fratellanza universale, Roma potrà salutar finalmente l’alba d’un terzo periodo intellettuale nell’immortale ed impareggiabile sua esistenza.

La nazione ha quindi il diritto di sperare nel buon andamento che il popolo dell’illustre Capitale saprà dare alla Vita Italiana.

Vecchio — e poco più atto, o nulla, all’azione materiale — devo limitarmi a consigliare i giovani che ponno utilizzare la mia esperienza.

Accennerò alle esagerazioni.

Non credete voi che le esagerazioni dell’ultima rivoluzione di Parigi l’abbiano perduta? Io lo credo — e credo le esagerazioni dei dottrinarii manterranno ancora per molto tempo l’Internazionale in uno stato spaventoso per le classi agiate — ciocchè servirà di puntello e di propugnacolo alle monarchie ed al clero per combatterla.