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forte, capace di generosi propositi, ad essa veniva sovente la smania di togliersi la vita.

Essa avea creduto di amare il Corvo da principio, quando ingannata, era stata involta nell’atroce setta, ove le furon strappati terribili giuramenti. — Ma progredendo nella vita, potendo per sè stessa apprezzare tutte le nefandezze loiolesche, e l’indole profondamente scellerata del suo seduttore, sparivano le illusioni usate per ammaliarla, e l’ardore con cui avea servito la nera falange, cambiossi a poco a poco in odio mortale.

Un giorno degli ultimi d’agosto del 60 l’atmosfera insalubre di Roma s’era impregnata di sì letale umore da farti cercare un ricovero e fuggire da quella pestilenza. — Gli affaccendati correvan per le strade scappellati, fiatando davanti a loro come in cerca d’aria più pura, e correvan sollecitando i proprii affari per presto giungere in casa e ripararsi dall’afa micidiale. Degli sfaccendati non ne scorgevi, essi eran nascosti nel più recondito dei loro palazzi, ordinando l’ermetica chiusura delle imposte e assaporando sorbetti ghiacciati, che ogni altro appetito era scomparso.

Eran le 4 pomeridiane, e dall’Apennino si scorgeva innalzarsi quel tetro, plumbeo, intenso nembo, precursore infallibile della tempesta. — E per minacciosa e terribile che fosse questa, essa era inferiore alla densa tempesta che travagliava l’anima della contessa. — Tutti avean chiuse le imposte, ed essa aprì quelle della sua stanza da letto, guardando a levante, cioè verso il nembo.