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capitolo xxxix 203


innalzavano marosi tali da non cederla ai rabbiosi ruggiti e sconvolgimenti di Scilla e Cariddi.

Manlio, il nocchiero della Contessa, che tale si stimava, avendola servita in ogni circostanza e sin da bambina, aveala prevenuta della tempesta e del pericolo, ma siccome è solito negli uomini coraggiosi di ripugnare nel mostrar paura, così il valoroso nauta mordevasi le labbra, ma non ardiva più consigliare la distratta signora.

Si era giunti alle rovine dell’antico ponte Sublicio, pur non volendo pericolare la vita e quella della generosa protettrice, Manlio cercò di ripararsi dalla bufera nell’angolo formato da una pila del ponte e dalla sponda destra del Tevere. — Poveraccio! ei non calcolò che riparato dal soffio impetuoso dell’ostro, la corrente del fiume padroneggerebbe il leggero palischermo sì, da spingerlo con violenza fuori della pila, e quindi nell’urto rabbioso dell’onda tra i marosi ed il Tevere ambi accaniti ad infrangersi, piuttosto di cedere il passo. Appena la barchetta incontrossi in quel frangente, non fu più possibile a Manlio di governarla, e presentando essa il traverso alle onde fu in un momento sommersa.

Il nocchiero coraggioso come lo sono generalmente la gente di mare, lanciossi al soccorso della Contessa, ma Lisa, la fantesca, gli vietò il successo di tale generosa risoluzione, abbrancandosi in modo al corpo di Manlio da non poter esserne staccata da forza umana. Poverina! essa amava molto la buona padrona, e forse in altra circostanza