Pagina:Garibaldi - I Mille.djvu/280

Da Wikisource.
256 i mille


dicatori, come si chiamavano allora i sostenitori dell’altare e del trono.

L’assassinio del Gambardella, virtuoso popolano, e d’alcuni altri plebei di parte nostra, era stato un saggio, o piuttosto una prova di ferri, che doveva continuare dal basso all’alto, e finire poi coll’eccidio generale nel giorno del giudizio, come lo chiamavano i preti, cioè nel giorno della vaticinata vittoria.

Spinte le cose dalle impazienze monarchiche, insofferenti di stare a bocca asciutta davanti alla splendida preda, quale è la ricca Partenope, i sabaudi si misero a vociferare annessione, e mi obbligarono quindi, come già accennai, a lasciare l’esercito sulla sponda sinistra del Volturno in presenza d’un esercito superiore, ed alla vigilia d’una battaglia, per recarmi a Palermo, ove il popolo, messo su da’ cagnotti cavouriani, voleva anch’esso annessione, ed in conseguenza cessazione della brillante campagna da parte nostra, per lasciar fare a chi tocca.

Come miglior partito, e più breve, io mi decisi d’imbarcarmi per Palermo, ove non mi fu difficile persuadere quel bravo popolo, non esser giunto il tempo di parlare d’annessione, ma bensì di proseguir l’opera di unificazione nazionale, anche sino alla città eterna, se possibile. I figli del Vespro m’intesero subito, ed in pochi giorni io potei essere di ritorno all’esercito.

Comunque, la mia breve assenza avea stimolato i reazionari della Metropoli Napoletana, e