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osservava l’aria mesta e distratta del Duce — con certo piglio significativo.

Questi era Talarico, il brigante redento, che attratto dalla bellezza della fanciulla, e forse dal dovere che ha ogni uomo che non sia un prete, di servir la causa del suo paese, s’era convertito alla parte della giustizia e dell’onor nazionale.

Talarico amava Lina come il leone la sua femmina, colla differenza, che conscio dell’affetto di lei per Nullo, piegava il capo alla fatalità della sua posizione, e conformavasi come il naufrago, che non potendo dominar le onde, da esse si lascia travolgere nei gorghi, dopo la lotta terribile della disperazione.

Lina non l’amava, essendo il vergine suo cuore tutto rivolto all’incomparabile amante di cui tanto andava superba; comunque, la fiera, maschia ed ingenua devozione di quel rozzo ma superbo principe della montagna la solleticava, e nell’anima sua bellicosa, ma gentilissima, essa non poteva albergare un senso che non fosse di propensione e d’interesse per quel servo sempre pronto al minimo di lei desiderio.

Guai a chi avesse tolto un capello alla dea del suo culto! Il ferro del figlio d’Aspromonte avrebbe solcato il petto dell’insolente come una lama di fuoco.

Egli, dacchè reso alla schiera dei forti campioni della libertà italiana, avea trovato nell’anima sua redenta tanta generosità ed abnegazione, da non esser nemmeno geloso del suo capo,